Il cane da tartufo
Il cane pertanto è diventato il compagno inseparabile senza il quale non riusciremmo ad individuare nessuna specie di tartufo, perlomeno alla cerca del fungo nelle tartufaie naturali, dove potremmo procedere solamente aprendo buche a casaccio. In attesa del “naso artificiale” in grado di captare l’aroma del tartufo, il più fidato dei collaboratori è sicuramente il cane. Teoricamente tutti i cani, indipendente dalla loro razza di appartenenza, possono essere utilizzati per la cerca, ma è indubbio che alcune razze abbiamo presentato, più di altre, alcune caratteristiche rivelatesi fondamentali per il migliore adattamento a questo tipo di ricerca.
Il lagotto romagnolo

Il Lagotto, cane da riporto di antica stirpe, dotato i un fiuto finissimo, è originario delle zone paludose dell’area sud del delta del Po (una immagine di cane molto simile al lagotto è stata ritrovata nella necropoli etrusca di Spina), ed in epoca romana venne diffuso in tutta l’area del ravennate, nelle valli di Comacchio e fino al margine della pianura friulana. Nel 1991 l’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, lo riconosce come 13° razza italiana, mentre nel 1995 gli viene attribuita la denominazione specifica di “cane da tartufi”. Il nome trae origine dalla lingua romagnola “càn lagòt” cioè cane d’acqua, ed evoca inequivocabilmente il suo ruolo originario di cane da palude, particolarmente adatto al riporto dei volatili abbattuti, con un utilizzo simile a quello dei ben noti retrivier.
Secondo altre fonti la genesi del nome ha certamente origine da espressioni dialettali, si ipotizza, infatti, che derivi dal termine dialettale con il quale si chiamano gli abitanti di un paesino delle valli di Comacchio (Lagosanto), detti appunto “lagotti”, molto affezionati a questo cane che usavano per il riporto della selvaggina e delle folaghe principalmente. In questa attività un ruolo decisivo hanno il pelo e il sotto pelo della razza che proteggono l’animale dal contatto dell’acqua, spesso gelida, consentendogli un capacità di lavoro insuperabile.
Parallelamente a questa attività venatoria il lagotto svolgeva un’utile, ma meno nota, attività di ricerca del tartufo di pineta, allora ben più abbondante di oggi. Questa attività successivamente ha preso il sopravvento fino a specializzare la razza in questo settore in modo esclusivo nell’intero panorama mondiale; anche e soprattutto perché la razza è ottimamente addestrabile e possiede un’ottima cerca e un notevole olfatto.
Con la riduzione ad opera delle bonifiche delle valli paludose, si è persa la necessità ad utilizzare il lagotto come cane da riporto. Inoltre, parallelamente all’antropizzazione della pianura e con l’impoverimento dei boschi del litorale a favore dell’agricoltura, si è avuta la quasi scomparsa dei tartufi nelle zone pianeggianti. A seguito di questa circostanza la cerca del tartufo si è spostata in zone più collinari e boschive, ed ancora una volta l’adattabilità della razza si è mostrata preziosa; il pelo e sotto pelo proteggono infatti l’animale dalle spine spesso presenti nel sottobosco e la corporatura medio piccola gli permette di arrivare anche nei luoghi meno accessibili.
Negli anni settanta, grazie all’attività di quattro appassionati ed esperti cinofili, la razza ricominciò ad acquistare l’originale purezza, che gli accoppiamenti con altre razze avevano in parte compromesso. I quattro autori della rinascita della razza furono Quintino Toschi, presidente del locale gruppo cinofilo di Imola, Francesco Ballotta, allevatore e giudice ENCI, Antonio Morsiani, cinologo, giudice ed allevatore e Lodovico Babini, esperto cinofilo romagnolo.
Grazie ad essi la razza si avviò verso una rinascita; rinascita che ha il suo apice nel 1988 con la nascita del Club italiano lagotto, che annovera oggi centinaia di iscritti. Il Club italiano lagotto ha contribuito in modo decisivo per l’ottenimento del riconoscimento internazionale.
Cane di media-piccola taglia, con buone proporzioni, di profilo forma un quadrato quasi perfetto. È di aspetto forte, robusto e rustico allo stesso tempo. Il lagotto ha grandi occhi rotondi, in ogni sfumatura di colore che va dal giallo scuro al marrone scuro.
Il pelo è lanoso riccio ed uniformemente distribuito su tutto il corpo; può essere bianco sporco uniforme, bianco con macchie marroni, roano, marrone bruciato uniforme, arancio unicolore e in varie combinazioni di tinte; spesso mostra macchie bianche che si sviluppano in età adulta. Il pelo è a crescita continua e deve essere periodicamente tagliato altrimenti forma dei cordoni. Il lagotto è praticamente esente da muta, il sottopelo rimane aggrovigliato al pelo di copertura. È sufficiente una regolare toelettatura una o due volte l’anno. Nel tipo di pelo ricorda il barboncino, anche se l’aspetto del lagotto deve essere rustico e non “salottiero”, la coda non è mai arrotolata.
Temperamento del lagotto
Il lagotto è nato per lavorare attivamente. In genere ha un apparato sensoriale molto acuto, ed è adatto all’addestramento. Va molto facilmente d’accordo con altri animali, se socializzato fin dalla giovane età. Il lagotto ha bisogno di molto esercizio e deve sempre essere impegnato in un lavoro. Ha un istinto naturale per il recupero e in genere non viene disturbati dal gioco o da altri animali selvatici. Oggi il lagotto viene allevato soprattutto come cane da ricerca del tartufo e non come cane da caccia o da riporto. Infatti, il suo olfatto molto sviluppato lo rende eccellente cane da ricerca ed eccellente nuotatore che non mostra esitazione in qualunque tipo di ambiente acquatico. Ha un mantello ed un sottomantello molto impermeabile che lo rende capace di lavorare a lungo in acque anche gelide. Ama scavare e deve essere istruito a non scavare nei giardini; molti proprietari creano loro un angolo apposito per consentire loro di soddisfare le esigenze di scavatore che lui porta istintivamente.