La cerca del tartufo
La cerca e la cavatura del tartufo, il più delle volte, sono state considerate per i loro aspetti più materiali e razionali insieme. E’ per tale motivo che nell’immaginario comune valutiamo queste azioni dal solo punto di vista gastronomico e commerciale, pure molto importanti. Se invece ci soffermiamo un poco cercando di scrutare nelle pieghe dell’argomento, possiamo prendere visione di una realtà assai più articolata e complessa. La tradizione delle cerca e cavatura di questo fungo prezioso ha origini molto lontane, anche se solamente a partire dagli anni sessanta del secolo scorso è venuto a crearsi un grande interesse gastronomico assegnando ai tartufi anche un rilevante valore commerciale. Con l’aumentato interesse economico, la cerca del tartufo ha assunto i contorni di un’arte personale, esclusiva e riservatissima, anche perché come abbiamo detto nei capitoli precedenti, il tartufo bianco pregiato, tipico dell’areale santagatese, vegeta solo spontaneamente e l’individuazione di una nicchia di produzione (nel territorio la chiamano caccia), diventa oggetto di assoluta segretezza. Sono molti i casi in cui il tartufaio uscendo di casa si avvia in una direzione per poi, dopo un chilometro o due, andare nel senso opposto per trarre in inganno chi eventualmente possa averlo tenuto d’occhio per rilevarne le mosse. Sant’Agata Feltria, che al pari degli altri comuni ubicati all’interno della valle soffre il difficile equilibrio idrogeologico di un territorio molto vulnerabile, vanta sul suo comune la presenza di circa tremila ettari di superficie boscata con anche la presenza di una miriade di torrenti e fossi, che insieme, costituiscono l’ambiente migliore per lo sviluppo dei tartufi bianchi pregiati e luogo ideale per lo sviluppo di una tradizione di cerca e raccolta oramai antica di secoli.
L’ambiente
Andare per tartufi non significa esercitare la sola attività di cerca del fungo, bensì mantenere vivo quello straordinario ed armonico rapporto che deve intercorrere tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, soddisfacendo ogni volta quella ancestrale necessità di contatto con la natura di cui siamo parte integrante. Lo stesso rapporto simbiotico che si sviluppa tra il tartufo e la specie arborea ospitante, avviene tra il tartufaio ed il bosco naturale quando il primo si accinge nella sua azione di cerca. Il bosco è vivo, cresce e respira e ci basta un poco di silenzio intorno, per ascoltare distintamente la sua voce. Ogni volta che il tartufaio esce di casa per cominciare il suo giro di cerca, da inizio ad un dialogo composto di visioni, rumori, profumi e sensazioni che insieme risvegliano, appagandole di gradevoli sensazioni, le nostre umane emozioni.
Da queste parti, i territori che sono compresi nella media ed alta valle dei fiumi Marecchia e Savio, rappresentano uno degli ecosistemi più interessanti per determinare la presenza del tartufo bianco pregiato che predilige condizioni pedoambientali molto particolari e pertanto circoscritte. Si tratta quindi di una specie che predilige terreni argillosi (marna) con buone quantità di sabbia e che trova le migliori condizioni nei luoghi freschi dei fondovalle ed ai margini dei torrenti, dove possiamo trovarlo sviluppandosi in simbiosi con salici e pioppi. Spesso lo si trova anche all’interno o ai margini dei boschi, dove può vegetare in simbiosi con roverelle, cerri, noccioli, carpini e frassini. Il clima naturalmente è il fattore ecologico determinante per lo sviluppo del fungo e la sua maturazione. I parametri principali sono costituti dalla altitudine, dalla latitudine, dalla assolazione, dai venti, dalle temperature e dalla umidità. In ogni caso trattasi di un tartufo che cresce in maniera assolutamente spontanea laddove la natura gli crea le ideali condizioni fitobiologiche e che a tutt’oggi non ottiene, a differenza dei neri, buoni risultati su impianti artificiali. Quando persistono le condizioni ideali di umidità e temperatura, il Tartufo bianco pregiato comincia la sua maturazione già da fine settembre, che si protrae normalmente fino alla fine di dicembre.
Habitat del tartufo quale strumento di sostenibilità ambientale
C’è un aspetto molto importante dell’intero sistema di raccolta dei tartufi che molti ignorano, e che gli da un valore aggiunto non indifferente: una volta tanto, gli interessi dell’uomo e il loro compimento sono sostenibili. Il tartufo ha alti standard di biodiversità, e costringe così l’uomo a salvaguardare l’ambiente.
Tendenzialmente, in qualsiasi operazione di agricoltura o produzione di beni quotidiani, per quanto si cerchi di limitare i danni si lascia sempre un’impronta negativa sulla natura. Questo magico, capriccioso fungo ipogeo cambia le carte in tavola perchè l’ecosistema in cui si sviluppa richiede standard di biodiversità molto elevati; l’uomo è costretto non solo a mantenere l’ambiente com’è, ma a salvaguardarlo. Ecco quindi che, con il mercato in crescita costante, ci si attiva su di un piano ambientalistico per creare nuove riserve, nuovi habitat adatti alla sua crescita, ed anche se il fine è puramente economico, il mezzo fa proprio al caso nostro.
Ogni specie di tartufo ha delle esigenze precise riguardo al suolo. Un fattore che accomuna però ogni terreno portato alla nascita dei tartufi è la presenza di calcio in abbondanza, e da qui deriva una spiegazione per la fortuna delle nostre terre.
Come molti sanno, infatti, l’intera Italia era in origine occupata dal mare, ricco di depositi di carbonato (calcare). Gli stessi terreni che caratterizzavano allora il fondale marino, sono quelli che oggi tanto si prestano non solo al tartufo, ma anche alla viticoltura, in cui il carbonato è un elemento chiave, essenziale per raggiungere la qualità riconosciuta delle nostre produzioni. Molto spesso infatti le aree vocate al tartufo coincidono con quelle che danno vita a grandi vini.
Ma questo particolare fungo è imprevedibile: può nascere ovunque grazie alle risorse infinite della natura che sarà sempre lei a dettare le condizioni e decidere. Il tartufo bianco ad esempio che è sicuramente la specie più difficile ed esigente, per il suo sviluppo richiede un terreno limoso, relativamente fertile, e con un bilancio corretto tra argilla e sabbia e comunque laddove trovi l’apparato radicale di un albero ad esso congeniale con il quale condividere l’ambiente anzitutto. Hanno pure importanza l’altitudine che raramente supera 600-700 metri e l’umidità data da precipitazioni di 900/1200 mm. l’anno. I migliori habitat sono i boschi naturali e incolti, oppure zone precedentemente coltivate lasciate a riempimento totale degli spazi in maniera spontanea, ed i fondovalle dove la confluenza dell’acqua mantiene buoni livelli di umidità. Pertanto quando decidiamo di effettuare un nuovo impianto mettendo in pratica le migliori componenti, dobbiamo essere consapevoli che l’uomo non crea una tartufaia, ma si limita a mettere insieme i giusti presupposti per il suo sviluppo.