Coltivazione del tartufo
Coltivazione del tartufo
Il notevole interesse suscitato da questo prezioso fungo ha stimolato, nel tempo, l’idea di poter produrre ed ottenere dei tartufi attraverso la messa a dimora e la coltivazione ex novo di piantine tartufigene (micorizzate), cercando in tale maniera di contribuire alla diffusione del tartufo e dando così origine alla tartuficoltura.
Prima di intraprendere il discorso su tale argomento, dobbiamo necessariamente citare la figura e l’opera di Lorenzo Mannozzi-Torini. Già Ispettore Generale dell’allora Corpo Forestale dello Stato, Mannozzi-Torini fu il fondatore di una scuola di pensiero orientata alla conciliazione delle esigenze dell’ambiente e delle foreste con lo sviluppo delle attività umane. Più in particolare risulta essere di notevole valore l’attività da lui svolta in uno dei campi di studio al tempo considerato del tutto marginale: la tartuficoltura e la tecnica vivaistica applicata alla coltivazione di materiale di propagazione forestale. Già agli albori della sua carriera Mannozzi-Torini si dimostrò essere grande esperto di micologia; è infatti del 1932 curò la pubblicazione in lingua francese di un saggio “Influence ael produits d’excretion des champignons du sol sur le developpement du blé”.
Negli anni cinquanta e sessanta del 900 iniziò una serie numerosa di interventi sia di carattere scientifico che eminentemente didattico, diretti a propagandare la tartuficoltura quale fonte di reddito integrativo per le popolazioni montane, ed il culmine lo raggiunse con la pubblicazione del celebre “Manuale di tartuficoltura”, tuttora oggetto di consultazione più volte rieditato da Edagricole e tradotto anche in lingua francese. Mannozzi-Torini intuì la grande potenzialità offerta dalla coltivazione del tartufo su vasta scala, quale mezzo per coniugare la necessità del recupero delle superfici nude e degradate al bosco e l’opportunità di integrazione al magro reddito delle popolazioni dell’entroterra. Ebbe la possibilità di verificare sul campo gli esiti dei primi esperimenti in Italia di semina di ghianda tartufigena. Tali esperienze effettuate nell’area di circa 26 ettari sul Monte Pietralata del Comune di Acqualagna realizzata nel 1931-32 dalla Milizia Nazionale Forestale di Pesaro, con le sementi provenienti dai querceti a tartufo nero di Norcia sotto la supervisione della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Spoleto, lo convinsero della esigenza di innovare le tecniche vivaistiche per accrescere l’efficacia dell’inseminazione. Introdusse pertanto negli anni ’56-’57 presso i vivai forestali esistenti in ogni provincia delle Marche, un sistema di inoculazione della ghianda mediante immersione per tre giorni in bagno di poltiglia di tartufo, con successiva semina nelle innovative “fitocelle” di materiale plastico, al posto della propagazione a radice nuda. Per la passione, la cura e la competenza che Mannozzi-Torini pose in questa attività di ricerca e di perfezionamento della tecnica vivaistica, verrà poi riconosciuto quale padre della tartuficoltura italiana.

Micorrizazione : produzione di piante micorrizate con il tartufo
Le piante tartufigene sono piante le cui radici, mediante apposite operazioni vivaistiche, che ricostruiscono in ambiente controllato gli eventi che portano in natura all’instaurarsi delle micorrize, vengono fatte associare con il tartufo (tramite un processo di inoculazione) con il quale vivranno poi in simbiosi. Messe a dimora in terreni vocati e coltivate razionalmente, permetteranno al tartufo di completare il suo ciclo biologico fino a fruttificare.
Esistono sostanzialmente tre metodi di micorizzazione:
- Inoculazione sporale
- Approssimazione radicale
- Inoculazione miceliare.
Inoculazione sporale

Ideato circa cinquant’anni fa da Mannozzi-Torini e in seguito migliorato da diversi ricercatori del settore, è a tutt’oggi il metodo più diffuso e utilizzato, grazie alla sua praticità ed ai soddisfacenti risultati ottenuti con diverse specie di tartufo (T. melanosporum, T. borchii e T. aestivum). Il metodo consiste nell’ottenimento di spore mediante la triturazione di corpi fruttiferi integri precedentemente sterilizzati. Queste poste a contatto con gli apparati radicali di piantine giovani allevate in vasetti in condizioni di semisterilità, germinando sono in grado di invadere con il loro micelio le radici. Per avere apparati radicali con un buon grado di micorizzazione bisogna aspettare alcuni mesi (da sei a otto).
Questo metodo pur essendo molto semplice, richiede diversi accorgimenti per evitare inquinamenti con funghi estranei, soprattutto quando si utilizzano specie, come il T. magnatum, che presentano spore che germinano con difficoltà. Inoltre presenta costi elevati in quanto, ogni volta che viene impiegato su larga scala, è richiesto l’acquisto di grossi quantitativi di tartufi (2 gr di fresco per pianta)
Approssimazione radicale

Vede l’impiego di piante già micorrizate con la specie di tartufo d’interesse per inoculare altre piantine. Consiste nel prelevare dalla pianta madre delle porzioni di radici contenenti micorrize e intrecciarle alle radici della pianta da inoculare. Questo metodo può essere praticato con una variante mettendo al centro di una cassa una pianta ben micorrizata con intorno una decina di piante da micorrizare. Trascorsi tre-quattro mesi le radici delle piante si colonizzeranno con il micelio della pianta madre.
Questo è un metodo che consente di risparmiare sul costo d’acquisto dei carpofori e di ottenere piante omogeneamente micorrizate. Per contro è molto laborioso e necessita di tecnici specializzati in grado di scegliere e certificare con certezza le micorrize delle piante madri per impedire la diffusione di specie competitive estranee.
Inoculazione miceliare

Si avvale dell’utilizzo del micelio del tartufo, isolato da corpi fruttiferi o da micorrize cresciute in coltura pura. Il micelio, fatto crescere prima su substrato agarizzato poi su terreno liquido, viene utilizzato per inoculare giovani semenzali o per inoculare in vitro, in condizioni di totale sterilità, piante micropropagate.
Coltura pura: coltura in assenza di microorganismi
Agarizzato: terreno di coltura a base di agar
Questo tipo di inoculo, il più sicuro in assoluto, attualmente non consente la produzione di piante micorrizate su vasta scala, tuttavia presenta numerosi vantaggi in quanto permette di avere piantine in qualsiasi periodo dell’anno, evita l’acquisto dei tartufi e operando in condizioni controllate, permette di produrre piante prive di funghi contaminanti estranei.
Coltivazione delle piante tartufigene
Coltivare il tartufo significa mettere a dimora piante preventivamente micorrizate. Questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente se si vuole che le piantine mantengano nel tempo le micorrize formatesi e siano in grado di produrre tartufi. Diversi sono infatti i parametri che concorrono a far sì che la pianta fruttifichi. Primo fra tutti è la valutazione del terreno e del luogo d’impianto. Le zone dove vengono trovati i tartufi sono sicuramente stazioni favorevoli, nelle altre è possibile fare tartuficoltura a condizione che vengano valutate le caratteristiche chimiche del terreno (ph, carbonati) dove si desidera fare l’impianto, i tartufi infatti non si possono coltivare ovunque, in natura si sviluppano solo in condizioni ecologiche specifiche. La valutazione di queste caratteristiche consentirà di fare una scelta sulle specie di tartufo e il tipo di pianta simbionte. Ogni specie di tartufo richiede caratteristiche pedo-ambientali diverse e bisognerà scegliere la specie di Tuber più adatta, anche se di minor valore commerciale. Anche la scelta della pianta deve essere fatta in maniera accurata scegliendo fra le simbionti del tartufo, quelle che si adattano meglio alla situazione del terreno da impiantare. Nella scelta delle piante forestali si dovranno preferire le autoctone, in maniera tale da creare associazioni vegetali simili a quelle presenti naturalmente nel terreno. Accertata la vocazionalità alla coltivazione e la bontà delle piante da utilizzare, bisogna procedere con la preparazione del terreno destinato all’impianto. Ciascuna specie di Tuber richiede tecniche differenti che influenzano in maniera determinante l’attecchimento e il mantenimento delle micorrize nel suolo. Nel caso d’impiego di un terreno marginale o ex coltivo si deve procedere con il decespugliamento e ripulitura del terreno da tutta la vegetazione arborea e arbustiva, a cui deve seguire un’aratura profonda per eliminare eventuali ceppaie e radici che potrebbero costituire un veicolo di funghi antagonisti del tartufo. Successivamente, poco prima della piantagione, si fa una leggera erpicatura e estirpatura, per sminuzzare e arieggiare il suolo. Un altro parametro da considerare è il sesto d’impianto che dovrà essere fatto in funzione della qualità del terreno, della specie arborea e del tartufo che si vuole coltivare.
La messa a dimora delle piantine andrà fatta con cura, avendo l’accortezza di rompere solo la parte terminale del pane di terra, per consentire la fuoriuscita delle radici senza compromettere l’avvenuta micorizzazione. In seguito, saranno necessarie diverse operazioni colturali post-impianto. In generale, le operazioni possono comprendere delle lavorazioni superficiali per assicurare l’immagazinamento e la ritenzione idrica e per eliminare la vegetazione avventizia che potrebbe concorrere con le giovani piantine; l’irrigazione per il mantenimento della micorizzazione e lo sviluppo dei tartufi. In alcuni casi, per contrastare e diminuire l’evaporazione dell’acqua contenuta nel suolo e limitare il numero delle irrigazioni, sono consigliabili operazioni di erpicatura e pacciamatura. Un’altra operazione colturale spesso utilizzata è la potatura, che serve per assicurare la penetrazione dei raggi solari creando il grado d’ombreggiamento più idoneo alla specie di tartufo coltivata.
Quando la tartufaia diventa produttiva, si procede con la raccolta dei carpofori, che va condotta quando i carpofori sono completamente maturi, utilizzando un cane opportunamente addestrato che li localizzi e senza danneggiare il micelio fungino.
Da quanto detto, è chiaro che la tartuficoltura è un tipo di coltivazione che deve essere fatta razionalmente e seguendo criteri ben precisi se si vuole che diventi produttiva e redditizia.